Quando si parla di Identità di genere si fa riferimento alla corrispondenza o meno fra sesso e genere, quindi alla rappresentazione di sé a prescindere dal sesso biologico di appartenenza. Secondo la teoria transgender le identità di genere di una persona non possono essere semplicemente incasellate nei due sessi: maschio o femmina. Secondo le comunità trans questi due stati rappresentano un continuum di possibili variabili di genere tra maschio e femmina.
Attualmente il termine “transgender” si sostituisce a quello di “transessualismo” il quale nasce all’interno del movimento per i diritti delle persone trans, in opposizione all’accezione di “disturbo” del termine, assegnato alla parola transessualismo dalle discipline mediche-psichiatriche. Tuttavia, poiché in molte nazioni è necessaria una diagnosi medica per accedere ai vari trattamenti tra cui anche l’intervento chirurgico per il cambio di sesso, una diagnosi di disforia di genere può consentire l’accesso a cure farmacologiche e interventi medici di falloplastica e vaginoplastica.
Intorno ai tre anni tutti i bambini affermano, con la crescita, un’identità di genere, maschio o femmina, che si stabilizza o in alcuni casi può divenire meno netta.
La presenza di interesse per il sesso opposto fa parte di una fase normale dello sviluppo e può rappresentare un periodo transitorio; in altri casi invece, può rappresentare un segno di disagio nello sviluppo affettivo del bambino, indicando un disturbo vero e proprio dell’identità di genere dell’infanzia.
Il bambino non accetta il proprio corpo e rifiuta i propri organi genitali. L’inizio del DIG si colloca di solito tra il primo e il terzo anno di vita. Il bambino presenta allora fantasie appartenenti al sesso opposto. I maschi preferiscono il gioco con le bambole, dichiarano il loro desiderio di non avere il pene, lo nascondono tra le gambe e fanno la pipì seduti. Le bambine pretendono di vestirsi da maschi, imitando il padre.
Pertanto, se manifestare fantasie e comportamenti legati al sesso opposto è normale nei bambini piccoli, la differenza sta nel grado in cui si manifestano tali condotte. Il bambino che soffre di un disturbo dell’identità di genere ha comportamenti rigidi e persistenti nel tempo.
La maggior parte degli studi clinici in questo campo concordano sul fatto che il transessualismo sia il risultato di una combinazione complessa di fattori bio-socio-psicologici. Il delicato processo di acquisizione dell’identità di genere durante l’adolescenza si sviluppa nel contesto di rapporti affettivamente significativi e dell’ambiente socio-educativo, in base a caratteristiche biologiche predisponenti. La persona transessuale non “sceglie di essere tale, ma segue questa via perché nessun’altra soluzione è psichicamente accettabile”.
Uno sguardo alla psicodinamica del disturbo dell’identità di genere
Per Robert Stoller le cause psicologiche del disturbo dell’identità di genere si collocano nella relazione primaria tra madre e bambino. Nel maschio, destinato a soffrire di un disturbo dell’identità di genere, il disturbo troverebbe la sua causa psicologica nel rapporto simbiotico tra madre e figlio dove non c’è spazio per la figura paterna, ma solo un’eccessiva identificazione con il materno. Il padre viene escluso ed allontanato emotivamente dal rapporto tra madre e figlio.
L’amore materno quando è sano, crea una stabilità affettiva che porta l’individuo, una volta adulto, a relazionarsi in maniera adeguata con l’altro. Le patologie psichiche invece, derivano da un rapporto materno simbiotico, dove la figura paterna viene esclusa, impedendo al bambino di rapportarsi adeguatamente con la realtà. Il padre dunque è portatore di un significato simbolico di relazione con la realtà esterna in contrasto col rapporto simbiotico interno che si crea naturalmente alla nascita tra madre e bambino. La relazione esclusiva della madre con il bambino non permetterebbe al padre di proporsi come presenza significativa nella quale egli possa identificarsi e, allo stesso tempo, il rapporto simbiotico con la madre non ne favorirebbe lo sviluppo della mascolinità.
Per Stoller il bambino può assumere un significato fallico per una madre problematica, che si sente rifiutata dal coniuge.
Nella bambina il disturbo dell’identità di genere può derivare dall’inadeguatezza e dall’assenza emotiva della madre oppure da una forte identificazione con la figura paterna. Il ruolo paterno ha un’importanza fondamentale nello sviluppo di fantasie transessuali e la sua assenza o la sua eccessiva presenza non favorisce il processo di separazione-individuazione del bambino.
Sembra opportuno ricordare che il termine “separazione” trova in sé la radice etimologica del significato di sè-parazione ovvero: “preparazione del Sè”.
Il bambino si identifica con la madre emulandola fisicamente nell’illusione di ritrovare in lei la fusione infantile. Nella femmina l’assenza emotiva della madre svilupperebbe un’angoscia di separazione che la porterebbe ad identificarsi con la figura paterna.
Il disturbo dell’identità di genere nasce pertanto come risoluzione per soddisfare il bisogno di integrazione psichica anche in presenza di eventi traumatici dovuti a perdita o all’ansia di separazione in caso di rapporti conflittuali con le figure di riferimento.
L’intenso disagio per il proprio corpo vissuto con radicale estraneità viene attenuato dalla possibilità al ricorso medico e alla richiesta di ri-assegnazione chirurgica del sesso attraverso la vaginoplastica o la falloplastica.
Per una femmina, ottenere un pene attraverso l’intervento chirurgico, può avere il significato di riparazione del rifiuto materno per avere sempre desiderato un figlio maschio. La fantasia inconscia sarebbe quella di diventare maschio avendo così finalmente, la possibilità di essere amata e accettata.
La madre che svaluta la bambina per i suoi atteggiamenti femminili o per il sesso biologico di appartenenza, ostacola il naturale processo di identificazione con lei e favorisce lo sviluppo di atteggiamenti di ruolo maschili, così come un padre che disprezza il femminile, può favorire nella figlia attitudini maschili.
Ancora, la mancanza di una figura maschile forte ed autorevole può indurre fantasie di divenire “l’uomo di casa”. Una madre che teme il mondo maschile, tenderà a crescere il figlio in modo tale che si discosti dai canoni tipici del ruolo ed il bambino cercherà inconsapevolmente di soddisfarla.
Le aspettative dei genitori riguardo al desiderio di avere un maschio o una femmina e la conseguente valorizzazione o svalutazione della mascolinità o femminilità inducono modelli di holding differenziati per i maschi e per le femmine.
Le interazioni tra il genitore e il bambino durante le funzioni corporee connesse ai genitali sono fondamentali per l’emergere di un’identità corporea. Solo nell’ambito della relazione di cura con il caregiver il bambino sperimenta il suo sé corporeo e la percezione di esistere come maschio o come femmina.
Secondo Di Ceglie, una volta stabilitasi l’organizzazione atipica dell’identità di genere- Atypical Gender Identity Organization- AGIO- come risposta ad un trauma, essa diventa un tratto stabile. Anche gli stereotipi di genere inculcati dalla società e dalla cultura nei bambini li orientano nell’interpretazione della realtà. Person afferma, a questo proposito, che la psicologia del genere è in parte la psicologia del conformismo, considerando quanto siano influenti le pressioni socio- culturali sull’espressione del comportamento maschile o femminile.
Definizioni di genere
Agender. Individuo che non si riconosce in un genere classificabile come maschio o femmina o che non si identifica con alcuna identità di genere
Androgino. Insieme di tratti maschili o femminili o espressione di genere non tradizionale.
Asessuale. Colui che non prova attrazione sessuale.
Cisgender. Persona che si identifica con il sesso biologico assegnato alla nascita.
Disforia di genere. Detta anche “disturbo dell’identità di genere” è la persona che ha una forte identificazione con il sesso opposto a quello di nascita. Il fatto che il DSM nelle sue varie edizioni la consideri un disturbo, è oggetto di polemiche tra i transgender in quanto il significato allude ad una malattia mentale e non a un’identità. Anche il termine transessualismo, il cui significato è da sempre stato associato ad una psicopatologia, è oggi sostituito a fatica col termine “transgender”. Questo nasce infatti all’interno del movimento per i diritti delle persone trans, in opposizione pertanto al significato assegnato alla parola transessualismo delle discipline mediche.
Espressione di genere. fa riferimento al modo in cui una persona esplicita agli altri il proprio genere attraverso l’abbigliamento, il trucco, il modo di fare e il linguaggio corporeo.
Genere binario. Classificazione di genere basato esclusivamente sul sesso assegnato alla nascita.
Genere non binario. Genere non contemplato nella definizione dicotomica.
Genderfluid/ Genderqueer . Persona la cui identità di genere oscilla tra maschile e femminile.
Identità di genere. Consapevolezza del genere in cui si identifica.
Intersessuale. Persona con disturbo dello sviluppo sessuale dovuto a fattori genetici, genitali o ormonali che ha come esito un corpo di dubbia classificazione maschile o femminile.
LGBTQ. Acronimo indicante comunità lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer.
Orientamento sessuale. Preferenza sessuale di un individuo che può essere attratto da persone dello stesso sesso, del sesso opposto, di entrambi i sessi a prescindere dal sesso o dal genere. L’orientamento sessuale è diretto verso l’esterno, mentre l’identità di genere riguarda il senso di Sè interno.
Transgender. Persona la cui identità di genere non corrisponde al sesso biologico alla nascita.
Transizione medica. Trattamenti chirurgici per il cambiamento dei caratteri sessuali primari, per il cambio di sesso; farmacologici per quelli secondari.
Giusy Scopacasa
Psicologa Clinica Psicoterapeuta
Individuale,, di gruppo, di Coppia e Famiglia.
Specialista del trauma complesso. Ipnoterapeuta.
Gabriella Seghenzi
Psicologa Clinica Psicoterapeuta, Individuale, di Gruppo, di Coppia.
Sessuologa, Terapeuta EMDR.